Binnu Blues – Il racconto del codice Provenzano

E i pizzini diventano un canto blues. Per la stagione di prosa del Comune di Taranto, sabato 7 aprile, alle ore 21 al TaTÀ di Taranto, in via Deledda al quartiere Tamburi, va in scena “Binnu Blues – Il racconto del codice Provenzano”, tratto dal libro “Il Codice Provenzano” di Salvo Palazzolo e Michele Prestipino, di e con Vincenzo Pirrotta, musiche originali suonate dal vivo da Charlie Di Vita. Spettacolo fuori abbonamento. Biglietto 15 (intero), 12 (ridotto) e 10 (ridottissimo) euro. Biglietti disponibili online su www.bookingshow.it, in tutti i punti vendita BookingShow e al botteghino del teatro. Info: 099.4725780 – 366.3473430.
«Non sapete quello che state facendo», sussurrò Bernardo Provenzano ai poliziotti che lo ammanettavano dentro il suo covo di Corleone l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza. Erano le ore 11.21 di una mattina che il capo di Cosa Nostra aveva dedicato alla scrittura dei pizzini, l’unico strumento che utilizzava per comunicare con il mondo al di fuori della sua casa bunker. Bernardo Provenzano aveva comandato da sempre così, battendo i tasti delle sue macchine per scrivere. Dovunque si trovasse. Poi affidava quei messaggi, ripiegati sino all’inverosimile e avvolti dallo scotch trasparente, nelle mani di fidati mafiosi. La centrale di comando su cui si era fondato il trono di Bernardo Provenzano stava per intero su un tavolino. Chi è il misterioso “Nostro Signore Gesù Cristo”, sempre beninformato sul corso delle indagini, che Provenzano ringraziava nei suoi pizzini per avergli svelato la telecamera nascosta dai Carabinieri e per avergli offerto un rifugio sicuro dopo un blitz della Polizia? Chi sono gli altri destinatari dei messaggi, indicati con numeri in sequenza da 2 a 164? (da “Il Codice Provenzano”).
Tratto dal libro “Il Codice Provenzano” (2008, Laterza) di Salvo Palazzolo, giornalista del quotidiano la Repubblica che da anni si occupa di mafia, e Michele Prestipino, magistrato, oggi procuratore aggiunto a Roma, che arrestò il capomafia, lo spettacolo di Vincenzo Pirrotta, attore e regista teatrale tra i più apprezzati nel panorama nazionale, accompagnato dalla chitarra di Charlie Di Vita, ripercorre in scena i 43 anni di latitanza del boss corleonese morto nel luglio del 2016. Gli ordini di morte, la falsa religiosità, la trama dei rapporti con gli insospettabili: nelle parole ritrovate dagli investigatori guidati da Renato Cortese, attuale questore di Palermo, prende forma il ritratto del padrino che custodiva i segreti della mafia siciliana.
Tra un episodio e una canzone, lo spettacolo prende le mosse dall’efferato omicidio di Michele Cavataio (1969), i primi passi del boss nella malavita organizzata, che Pirrotta mette in ridicolo utilizzando le sue stesse parole sgrammaticate di un italiano stentato. In alcuni passaggi la recitazione si fa canto e i pizzini diventano un canto blues. «Perché attraverso il blues, un genere musicale che contiene il germe della contestazione, i neri d’America costretti nei campi di cotone manifestavano tutta la loro rabbia. Allo stesso modo esprimo tutta la rabbia dei siciliani onesti, quelli che non si arrendono alla mafia, per ciò che è accaduto nella nostra terra a causa di quell’uomo e dei suoi complici», annota l’attore palermitano.
Dopo i primi passi e la lunghissima latitanza, lo spettacolo di Pirrotta passa in rassegna anche gli ultimi anni del capomafia, quelli vissuti tra il carcere e i tribunali, fino alla morte. Che però lascia aperti molti interrogativi.