L’aria

Un’ora sola per sentirsi liberi, per respirare aria pulita, un’ora sola per guardare il cielo. Sabato 14 aprile, alle ore 21 al TaTÀ di Taranto, in via Deledda al quartiere Tamburi, va in scena “L’aria” di Pierfrancesco Nacca, disegno luci e regia Giulia Paoletti, con Alessandro Calamunci Manitta, Andrea Colangelo, Pierfrancesco Nacca, Gabriele Sorrentino, costumi Nicola Civinini, produzione compagnia teatrale “Cesare Giulio Viola”, con il patrocinio di Amnesty International Italia e Associazione Stefano Cucchi Onlus. Durata 65 minuti. Biglietto 12 euro (in prevendita 10 euro c/o Old Fashion in viale Magna Grecia 425). Info e prenotazioni: 347.1789975.
“L’aria” è il pretesto per raccontare la storia di quattro detenuti: Nicola, Mario, Rosario e Carmine, rinchiusi in un istituto di detenzione del nostro Paese. Raccontano pezzi della loro vita, quella vera, prima di essere reclusi, fino ad arrivare poi al momento della carcerazione. Cosa si nasconde dietro ai loro reati? Dietro quei volti scavati, dietro il loro taglio di capelli, dietro quelle tute acetate? Forse solo uomini, ed è questo che si vuole raccontare, storie di uomini, storie di abusi, di disagio e di sofferenza, tutto narrato sotto forma di intervista, con l’idea di ricreare una realtà a noi sconosciuta: usi, costumi, gerghi, consuetudini e gesti, pezzi ricuciti insieme, in un abito che possono indossare tutti.
La situazione delle strutture carcerarie italiane è vergognosa e drammatica, il sovraffollamento e le precarie condizioni igieniche rendono la detenzione infernale, mettendo a dura prova il rispetto e la dignità umana che spesso viene calpestata. I reclusi sono stati puniti per gli errori commessi, molti sono colpevoli di reati efferati, hanno subito un processo e devono pagare con la privazione della libertà, questa è la legge nel nostro paese. La detenzione però non deve essere solo punitiva, deve avere l’obiettivo della rieducazione, il reinserimento nella società e le carceri dovrebbero accogliere dignitosamente gli uomini. In alcuni istituti di pena, sono stipati in pochi metri quadri, criminali incalliti e ladruncoli, stupratori e tossicodipendenti, detenuti in attesa di giudizio e immigrati clandestini e addirittura, negli spazi comuni, ovvero quelli che dovrebbero servire alla socializzazione, all’istruzione e allo svago, vengono aggiunti altri letti a castello.
Capita anche che in carcere, si entri da vivi e si esca da morti, perché l’assistenza sanitaria è precaria, quasi inesistente, perché vivere dentro è insopportabile e si preferisce il suicidio alle sbarre; perché c’è sempre qualcuno che ha la responsabilità di assistere e difendere i diritti umani, che abusa del proprio potere, con l’uso spropositato della forza, della violenza ingiustificata, delle percosse, delle lesioni. Pochi i casi di cronaca giudiziaria risolti, tanti altri, ancora in cerca dei colpevoli, tra forze dell’ordine, medici e infermieri. Quelle strane morti, improvvise, sospette, quelle foto violacee di volti emaciati, di membra lacerate, gridano ancora giustizia: Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli…

photo © Tullia Di Nardo