Vico Ospizio
7 e 8 marzo 2013_ore 10.30
Vico Ospizio
Storie di vita e di fabbrica
testo regia e interpretazione Giovanni Guarino
musiche in scena Pino Magaldi (chitarra) e Angelo Losasso (percussioni)
collaborazione all’allestimento Gaetano Colella
in collaborazione con Istituto “Ernesto De Martino”
durata: 60 minuti
Un’indagine sulla storia presente che permette di cogliere “nel loro farsi” i cambiamenti in atto nella società. Il lavoro restituisce la storia degli anni ‘60/’90 a Taranto attraverso la vita di una famiglia radicata nella Città vecchia. Dallo spaccato familiare prendono visibilità le trasformazioni della città: il sicuro Arsenale militare, la crisi dei Cantieri navali, il miracolo Italsider, lo stravolgimento ambientale ed urbanistico, le lotte operaie, la crisi. Attraverso il ritmo incalzante della narrazione di Giovanni Guarino e il blues di Pino Magaldi e Angelo Losasso percorriamo anni di storia in un racconto vorticoso fra il divertente e il drammatico. Con un unico pensiero di fondo: che il recupero delle radici, di ciò che eravamo, è l’unico strumento per capire ciò che siamo e dove potremo andare.
Vico Ospizio è dove sono nato. E’ il vicolo incastonato nel dedalo di viuzze della Città vecchia, la parte più antica di Taranto. L’Isola. Circondata dal mare e assediata dall’Ilva, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa. Sono stato bambino in quei vicoli e ho avuto i suoni della città nelle orecchie, delle barche che rientravano all’alba dalla pesca, delle voci che riempivano i vicoli di richiami, dei “cunti” che la nostra zia Mimina ci raccontava ogni sera nel vicolo. Mentre io crescevo, però, la città lentamente moriva. Nel corso degli anni decine di scelte scellerate hanno ridotto la città di Taranto, l’antica capitale della Magna Grecia, in un coacervo di tensioni, rabbia e povertà. L’industria ha aggredito il territorio producendo fumi, veleni, disoccupazione e tensione sociale. Ma soprattutto morte e miseria. Le centinaia di morti cosiddette “bianche” sono una lunga lista di uomini che hanno pagato a caro prezzo il costo dell’industrializzazione. Una lista che non si arresta neanche oggi nel XXI secolo. A quelle si aggiungono le morti “nere”, quelle del cancro. Nulla di quello che era stato promesso a questa città prevedeva un conto così salato. Vico Ospizio e tutta la Città vecchia sono rimasti oggi il simbolo, l’emblema di questi cambiamenti verso il peggio che l’uomo è stato in grado di produrre in soli cinquanta anni. Il simbolo di una città che ha smarrito la sua identità nella ricerca continua di una definizione. L’immagine che bene la rappresenta è una valigia sempre pronta sulla soglia di casa, e noi che eravamo sempre al bivio fra partire e restare. Oggi vivendo ancora in quella parte di città mi accorgo di come non è potuta diventare. Di quanto sia stata rapida e irrimediabile la rimozione di ciò che si era. E di come delle voci che riempivano i vicoli di richiami non ne è rimasto niente. Forse solo l’eco nella mia testa. [Giovanni Guarino]