Aprile dei Diritti

Check-up dei diritti. Dal 9 al 23 aprile 2016, al TaTÀ di Taranto, in via Grazia Deledda ai Tamburi è programmata la rassegna “Aprile dei Diritti“. Nei fatti, il Crest e la Cgil Taranto rinnovano la loro collaborazione per dare vita ad una riflessione, lunga tre settimane, sui diritti e sullo stato di salute della nostra nazione. Tre spettacoli e tre momenti di approfondimento su temi specifici: la legalità, l’emergenza migranti e il diritto al lavoro. “Aprile dei Diritti” è il racconto di tre storie, di tre persone speciali e, attraverso le loro vicende, affronta tre tematiche capaci di svelare le difficoltà e le contraddizioni del nostro tempo. Ad ogni spettacolo (di sabato, sipario ore 20) seguirà un momento di approfondimento a cui saranno chiamati a partecipare testimoni particolari, associazioni ed enti. Biglietto unico 10 euro. Info: 099.4725780.
Aprirà, il 9 aprile, lo spettacolo di Ture Magro e Flavia Gallo, diretto e interpretato dallo stesso Ture Magro, “Malanova”, tratto dall’omonimo libro di Cristina Zagaria e Anna Maria Scarfò (Sperling & Kupfer), coproduzione SciaraProgetti/Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda. Notte di Pasqua del 1999. Anna Maria si allontana dalla messa per seguire Domenico, il suo innamorato. Quella sera la tredicenne sarà vittima di uno stupro di gruppo che si perpetrerà per anni, tra minacce ed umiliazioni. La sua storia, la storia di Malanova, ribattezzata così dagli abitanti del suo paese, ce la racconta Salvatore, che ricorda di averla amata, desiderata e ritrovata dentro una storia di violenza squallida e sconvolgente, possibile tanto nel Sud, dove si è realmente consumata, quanto in tutti quei luoghi d’Italia, dove una vita violata può scorrere nella solitudine, nell’indifferenza e nella connivenza silenziosa.
Seguirà, il 16 aprile, Christian Di Domenico con “Nel mare ci sono i coccodrilli”, tratto dall’omonimo libro di Fabio Geda (Baldini&Castoldi), coproduzione Teatri di Bari. C’è chi parte per amore, per lavoro, per turismo e poi ci sono quelli che partono per inseguire la vita. E allora la partenza è un parto. Un viaggio in posizione fetale, stipato in pochi centimetri, nella pancia di un camion dentro un mare di letame. Un mare in salita, che unisce e che separa. Un mare che è liquido amniotico che nutre, ma in cui si può annegare.  La storia di Enaiatollah, fuggito dall’Afghanistan, è una magnifica parabola che rappresenta uno dei drammi contemporanei più toccanti: le migrazioni di milioni di individui in fuga da territori devastati dalle guerre, in cerca di un miraggio di libertà e di pace.
Chiuderà, il 23 aprile, lo spettacolo “l’Albero” di e con Nicola Conversano, collaborazione alla scrittura Michele Santeramo, regia Vittorio Continelli, produzione Pozzo Sorgente. Un contadino ha saputo che un albero è stato preso dalla campagna e spostato nel centro di una piazza di città. Un albero di ulivo di duecento anni, spiantato e ripiantato tra le macchine. Quest’uomo ha bisogno di andare a parlarci con quest’albero, perché, com’è ovvio, l’albero non ha retto a quel passaggio, ed è diventato secco. Partendo da questo episodio, che sembra piccolo agli occhi dei disattenti, l’uomo in scena conclude che di questo scempio, di questa bruttura non vuole saperne più niente. Decide di partire, ma non ci riesce. Fino a quando…