Il passato di Taranto tra speranza e rimozione

 
Il passato di Taranto tra speranza e rimozione
di Gaetano Colella
direttore artistico CREST (*)
 
In un saggio edito da Bollati Boringhieri, Paolo Jedlowski analizza il concetto di rimozione collettiva del passato recente ad opera di un’intera comunità, quella tedesca in relazione al dramma della seconda guerra mondiale e ai campi di sterminio. L’incapacità, espressa già da Walter Benjamin, di narrare l’inaudibile, che generava l’atrofia dell’esperienza. Un’intera nazione che non riusciva a fare i conti col passato recente. Io credo che Taranto stia vivendo lo stesso trauma: l’incapacità di elaborare la sua storia recente, quella che ha trasformato con indicibile forza una civiltà legata alla terra, al mare e all’artigianato in una società industriale e, oggi, post-industriale. Una metamorfosi che ha contribuito ad una crescita economica e ad un certo benessere diffuso, che però ha lasciato indietro una elaborazione della mutazione antropologica della comunità, perché “la velocità delle modificazioni” che ha investito il territorio ha escluso l’elaborazione dell’esperienza. E, come profetizzava Pasolini, il progresso non è andato di pari passo con la civiltà.
Oggi ci ritroviamo a vivere in una comunità che forse non può nemmeno dirsi tale, che abita spazi urbani nati da scelte scellerate e mai condivise, che non ha punti di riferimento e che soprattutto non conosce la sua storia recente perché, semplicemente, l’ha barattata col (finto) benessere. Una città frantumata che sembra più un agglomerato di periferie, che non ha un centro. Ed è da questo che siamo partiti nel pensare l’edizione 2016 di “Periferie”, immaginando di tessere un primo tentativo di lettura della città e dei suoi confini: quanti sono, dove sono e quando sono nati tutti i confini visibili e non della città di Taranto? Qual è la loro storia? Insieme all’Università di Taranto, al professor Roberto Nistri, al Politecnico, all’Ordine degli Architetti e a diversi Istituti superiori, proviamo a tracciare una prima mappa del sentimento della nostra comunità.
Il tema del “confine” come linea di demarcazione fra dentro e fuori è anche quello che guida la scelta dei due spettacoli in cartellone: nello stesso giorno del convegno (all’ex convento di San Francesco), sabato 12 novembre, debutterà al TaTÀ il lavoro di Punta Corsara “Hamlet Travestie”, messo in scena da una compagnia di giovani attori, che è nata e lavora a Scampia, quartiere periferico di Napoli, simbolo del degrado e della malavita partenopea. A seguire, il 2 dicembre, un evento speciale: i Radiodervish con “Café Jerusalem”, concerto che prende il nome dall’ultimo album del gruppo. Un canto dedicato a una città che è attraversata continuamente da una moltitudine di esseri umani e che contiene in sé centinaia di confini.
 

(*) Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 6 novembre 2016

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