Un racconto di periferia – Ragazzi di via Pal

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Un racconto di periferia – Ragazzi di via Pal

di Gaetano Colella e Gabriele Duma, regia Gabriele Duma, con Giuseppe Marzio, Andrea Santoro, Andrea Simonetti, Serena Tondo, scene/immagini Massimo Staich e Francesca Ruggiero, costumi Cristina Bari, musiche originali Fido Guido, videomaker Gianni Giacovelli, parkour trainer Daniele Ciciriello, disegno luci Vito Marra, tecnico di scena Walter Mirabile, foto di scena Walter Mirabile

 
 
 
 
 
 
 
 Uno spiazzo da contendersi per giocare. Due squadre/gruppi di ragazzini. Un pallone, un orgoglio da difendere.
Questi gli elementi alla base del romanzo diventato uno dei più noti classici della letteratura per l’infanzia, pubblicato nel 1906 da Molnàr per denunciare la mancanza di spazi per il gioco dei più giovani. Una denuncia, il segnale di un pericolo che arriva da lontano e che ancora suona contemporaneo e familiare.
Certo il gioco in strada è diventato più raro, soffocato dal traffico e da madri sempre più ansiose e protettive. Certo i ragazzi oggi giocano e comunicano digitalmente, virtualmente… ma a tutti noi adulti è capitato di vedere talvolta lo sguardo illuminato, le guance arrossate di un bambino che gioca davvero con coetanei veri, di cogliere la realtà delle emozioni in quello sguardo e in quel respiro affannato. Vera gioia, vera rabbia, vero tutto.
Senza dimenticare il presente e le sue eccezionali opportunità, lo spettacolo vuol parlare di una città e dei suoi ragazzi, i piccoli cittadini che vivono all’ombra dei bisogni dei grandi che disegnano spazi a loro uso e consumo. Boka, Gerèb, Nemé, Skiappa, i piccoli ungheresi, da 109 anni raccontano la loro storia con allegria, drammaticità e passione immutate. Come immutati sono i sentimenti che abitano l’animo umano, ancorché giovane. Fedeltà e tradimento, cattiveria e tenerezza, timidezza e arroganza, in quella mistura di relazioni a cui oggi diamo il nome di bullismo, e che Molnàr racconta disegnando caratteri a tutto tondo.
Ambientato in una periferia qualsiasi delle nostre città, lo spettacolo si serve di musiche originali rap-reggae di Fido Guido e di videoinstallazioni.

 

Storie di spazi occupati e spazi usurpati. Sottratti a una naturale funzione in nome di un aleatorio interesse collettivo, sempre calato dall’alto da entità sfuggenti, e mai realizzato. In una architettura della precarietà, in cui solo i sogni sono chiari, una piccola comunità bambina, che percepisce attorno a sé la presenza adulta come un’ombra, ma non la vede, costruisce relazioni, dentro e con quello spazio in perenne costruzione, in cui sembra che nessuno voglia costruire nulla. Il cantiere, mai finito, si tinge per un attimo di infinito. E i ragazzi si riconoscono in quello spazio inquieto e ostinato che non vuole diventare niente altro che ciò che è; con profondo senso etico lo difendono, attraversano la propria guerra, piangono i propri caduti, per poi svegliarsi cresciuti e con la consapevolezza nuova che i nemici di ieri erano necessari alla propria identità e che le ombre intorno permangono a perpetrare una nuova usurpazione.
Per giocare dove non c’è null’altro che la propria presenza e un luogo invaso da dissennate barriere, il Parkour si sviluppa nella periferia metropolitana come modalità di relazione con lo spazio, con gli ostacoli, che diventano veri e propri maestri. Se ascoltati indicano i limiti personali e la possibilità di spostarli gradualmente, assumendosi la responsabilità di ogni piccolo o grande rischio, fino piegare al gioco persino le leggi della fisica, nella realizzazione delle evoluzioni più estreme. Così, per gioco, ciò che prima sembrava squallore e impedimento, nella relazione diventa meraviglia, e l’asperità, conosciuta, rende il luogo unico e desiderabile, scenario di un’appartenenza. Nella condivisione poi, scopri che non sei solo, hai dei fratelli che, in quell’apparente nulla, saltano e giocano sullo stesso corpo di città. [Gabriele Duma]

 

Un racconto di periferia – Ragazzi di via Pal – crediti fotografici Walter Mirabile