A me m’ha rovinato la guera
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Crest
in collaborazione con Associazione Culturale Malalingua
A me m’ha rovinato la guera
di e con Arianna Gambaccini, Michele Cipriani
testo e regia Arianna Gambaccini
supervisione al testo Michele Santeramo
consulenza musicale Associazione Musicale Diapason, Raffaella Ronchi Matilde Sabato
suoni e basi Matilde Sabato, Leonardo Vita
coreografie Annarita De Michele
costumi Rosa Lorusso
disegno luci Claudio De Robertis
Nel retro di un piccolo teatro di provincia, in una giornata (in cui il silenzio nervoso denuncia una breve quiete dai possibili bombardamenti durante la seconda guerra mondiale) si svolge la lotta di un uomo che tenta di arrivare sul palcoscenico e realizzare il sogno di una vita intera: incontrare un noto Impresario Teatrale per conoscerlo e convincerlo a farsi scritturare.
Il tempo è poco e l’urgenza è tanta: l’Impresario pare essersi rifugiato in quel teatro per visionare una sua pellicola in uscita e solo l’uomo, al corrente della Sua presenza, è riuscito a raggiungerlo.
Ma una donna, tutto fare del teatro, sembra ben decisa ad impedirglielo.
Quanti modi ha un angelo per conquistare le ali?
Quanto spazio ha la nostra anima per accettare il fallimento? Cosa è veramente un fallimento?
Questo è quello che si racconta in scena, ma questa storia parte da molto più lontano.
“Mi chiamo Michele Cipriani, come mio nonno. Qualcuno dice che nel nostro nome c’è il nostro destino, non so se è vero. Quel che so è che ci sono tre cose che mi legano al mio progenitore: la professione, il nome (anche se lui in scena si faceva chiamare “Mario Ceprani”) e in qualche modo la guerra. Mio nonno è stato un valente attore di avanspettacolo fra gli anni 30 e 40 del secolo scorso. Scritturato dalla Compagnia di Rivista del Capocomico Arturo Vetrani, in cui si trovò a condividere il palco con i fratelli Maggio, Pietro de Vico… Cominciava a farsi un nome quando nel 1940 l’Italia entrò in guerra. Trasferitosi prima del conflitto a Taranto, fu convinto dal Maresciallo dei Vigili del Fuoco della città ad arruolarsi nei Pompieri.
Non so quanto fosse consapevole in quel momento che la sua carriera si sarebbe interrotta lì, ma finita la guerra, con cinque figli ed una moglie stanca di seguirlo per tutta l’Italia, decise di rimanere definitivamente nei Vigili del Fuoco. La sua carriera si chiuse, con uno spettacolo interrotto per i bombardamenti.
Fu messo in “quarantena” come è accaduto a tutti nel 2020: abbiamo in comune sospensione in cui si sono ritrovate le nostre vite. Nel nostro mestiere siamo abituati a combattere per sopravvivere alla penuria di lavoro. Ma un bombardamento, che venga dall’alto o da una piccola particella nel nostro respiro, come lo combatti? Cosa può l’arte contro qualcosa di immensamente grande o di immensamente piccolo che si abbatte su di noi? Dove finisce la bellezza quando l’arte è in quarantena, quando i teatri sono chiusi? Al di là delle condizioni materiali, di cosa può nutrirsi un attore quando le contingenze della vita gli tolgono quello di cui ha più bisogno: il pubblico? Chi sono io senza te che mi guardi? Chi siamo noi tutti senza gli altri? Qual è la guerra che ci rovina davvero: quella fuori o quella dentro di noi?”
“… La verità è che io vengo qui non so più da quando… e mi sembra di fare sempre la stessa cosa, mi sembra, lo stesso racconto, e non uscire mai. Io non lo so ma mi sembra che tutto abbia un suono conosciuto, anche le mie parole e io non le voglio più sentire, vorrei solamente uscire. Ma lei li ha mai visti, Commendatore, gli asini che volano nel cielo? La felicità Lei l’ha mai vista? I sipari d’oro, gli applausi pieni, il senso di questa fame per una pagnotta o per una risata… ma perché siamo così? Io senza l’altro chi sono? Pensa che sia un problema solo degli attori? E i preti? I medici, i fiorai, i becchini? Come vivono senza l’altro che prega, che ama, che spera, che sospira, che muore? Le canzoni d’amore si scrivono per qualcuno e allora io La prego, Commendatore, La prego, mi faccia fare questo spettacolo: un’ultima volta, lo spettacolo che non ho fatto mai…”
A me m’ha rovinato la guera è il racconto delle vite parallele degli artisti di ieri e di oggi. E’ il racconto di due anime alle prese con due guerre diverse accomunate dallo stesso “trauma”: il vuoto e il “fallimento” (o quello che credono essere tale). E’ l’omaggio ad un mondo, quello dell’avanspettacolo, che ha saputo trasformare la sofferenza e la fame in una risata collettiva, popolare e liberatoria. E’ un racconto che parla della fame dell’attore, del colera da palco e dell’universale bisogno degli altri. Passando per macchiette, sketch, e canzoni d’autore, A me m’ha rovinato la guera è la dimostrazione che i propri sogni occorre realizzarli senza mai diventarne schiavi, e che il potere della bellezza è qualcosa che va al di là, anche della morte.
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